lunedì 31 agosto 2009

LA DOMENICA DELLE SALME

Ieri sono andato al cimitero monumentale di Luanda.
Ho visto le tombe dei soldati portoghesi uccisi durante la guerra di decolonizzazione.
Chissà se nei quarant’anni trascorsi un loro familiare, o un lontano parente emigrato in Angola, è mai passato di qua a lasciare un fiore a questi ragazzi morti dalla parte sbagliata.




È mezzogiorno, il quartiere è senz’acqua, oggi di fiori non ce ne è per nessuno.
Fuori dal cancello due ragazzi vendono dei secchi riempiti giù in spiaggia e gridano: “Pulite i vostri loculi, pulite i vostri loculi!”

sabato 29 agosto 2009

LA GITA A CABO LEDO

Il vetro di sicurezza al bancone della biglietteria è infranto proprio nel mezzo, c’è un buco grosso e irregolare, deve essere stata una rapina, e si vede tutto l’ufficio sottosopra, umido e sporco. Mi fa sorridere l’impiegata che si ostina a parlare coi viaggiatori dal piccolo foro circolare rimasto intatto. Forse è la sua “resistenza”: nonostante i ladri, le condizioni del locale e il sarcasmo di qualche cliente, nel lavoro che fa è rimasta ancora una regola: comunicare da quel foro.

Vorrei andare alla spiaggia di Cabo Ledo, cento chilometri a sud di Luanda, ma l’impiegata mi dice che è impossibile tornare in giornata, perché non ci sono autobus diretti. “E se prendessi quello che torna da Benguela?”, sta volta ride lei: “Sarà esaurito come sempre. Le è andata male, uno qualunque tra i miei colleghi per una gasosa da 500 Kwanzas l’avrebbe fatta salire lo stesso”.

Che faccio allora, vado in macchina?
Ora dovete sapere che la jeep che uso è di Casa Militar, un’istituzione di ufficiali al servizio del Presidente della Repubblica, che in passato aveva assegnato degli appalti alla mia impresa.
Questo vecchio fuoristrada giapponese, un Landwind a gasolio, non ha il libretto di circolazione, e quando la polizia mi ferma (almeno 5 volte a settimana) chiamo al telefono un certo capitano dell’esercito, lo passo agli agenti e loro mi lasciano andare. Funziona sempre.
Solo che tra Luanda e Cabo Ledo, al chilometro 60, in corrispondenza dell’omonimo fiume c’è la Barra do Kwanza, un gigantesco posto di blocco conosciuto come “o buraco preto”, il buco nero. Taxi senza licenza, stranieri clandestini e automobilisti non in regola (il 90% degli angolani guida senza patente), lì fanno una brutta fine.
E se mi fermano alla Barra e il capitano non dovesse rispondere?
E se in quel caso il valore della gasosa richiesta fosse troppo alto?
Incerto metto 200 dollari nel porta-oggetti e parto ugualmente.

Chilometro 30, il Miradouro da Lua (luna). Lo chiamano così perché il paesaggio sembra lunare.

Chilometro 60, il fiume Kwanza, appena dopo il posto di blocco.

Tra il Kwanza e Cabo Ledo, un embondeiro (il baobab).

Sbaglio strada e chiedo indicazioni alla prima casa che trovo. È di una contadina, coltivatrice di angurie.

Sulla spiaggia di Cabo Ledo.

Un villaggio di capanne adiacente alla spiaggia.

Partita di calcio: abitanti della spiaggia (in maglia gialla) contro quelli della collina sullo sfondo.

mercoledì 26 agosto 2009

GASOSA NUMERO 2

Ormai l’avete capito, pure io pago le gasosas.
Dopotutto siamo nel paese dove persino i padri missionari smazzettano per farsi vistare i passaporti.
Ecco, può sembrare divertente, ma non lo è.
In effetti nei primi tempi dà una certa euforia (come ogni altra trasgressione), e poi fornisce “materiale da racconto”, per amici e colleghi: “Ehi, sentite questa…”
Però alla lunga abbrutisce compromettersi a un sistema di cose talmente corrotto come quello angolano, perché genera l’idea che coi soldi si possa far tutto.
Insomma, per concludere il preambolo, non è interessante il fatto in sé, ma il modo in cui avviene.

Tornavo dalle spiagge di Panguila (ricordate i relitti?), lungo la buia e dissestata strada di Cacuaco.
Il traffico pazzo, la stanchezza e l’inesperienza: all’improvviso sbaglio strada.
Al primo incrocio, appena lascio la rotonda, tento di invertire la marcia, ma al termine della larga virata a “U” mi trovo il cammino sbarrato da un poliziotto, con tanto di mitragliatore Kalashnikov lungo il petto. “Accosti chefe”.

- “Patente e passaporto. Sa perché l’ho fermata?”
- “…”
- “Manovra pericolosa in prossimità di un crocevia, ah, e vogliamo discutere di quel fanale un po’ fiacco?”
- “Ma se non veniva nessuno…”
- “Non importa chefe, deve seguirmi in caserma per il sequestro del mezzo e il calcolo delle multe”.

Mi fa scendere per mostrarmi un elenco tutto sgualcito delle infrazioni e delle corrispondenti penali.

- “Umh, questo e quello, più la targa in cattivo stato: sì, circa 200.000 Kwanzas…”
- “Eh? E chi me li dà? Sono 2500 dollari!”
- “Ahi ahi amigo, molto male…ma oggi è sabato no?”

Vabbè, afferro l’antifona, gli servono i soldi per la serata.
Ma quanti esattamente? Inizia la trattativa…

- “Insomma se pago la sanzione adesso ho diritto a uno sconticino, mi par di capire…”
- “Già, consideri che siamo giovani, che la notte andiamo a divertirci…”
- “1000 Kwanzas?”
- “Dois saldos amigo, 2000. Prego, riprenda i suoi documenti, controlli che sia tutto in ordine e me li restituisca”. E mentre lo dice mi sgrana gli occhi.

Faccio un bel sandwich con patente e passaporto, imbottisco di Kwanzas e glielo consegno. Lui magna e sparecchia.

- “Ok, tenga chefe, adesso può concludere la sua manovra”.

La gassosa Polara di Modica, raccomandata da me e dai miei zii. Liscia o con ghiaccio, prima di ogni tressette.

martedì 25 agosto 2009

A BORDO STRADA

Oggi è un giorno fortunato per quest’uomo. Sì, lui ha una polizza con ANGOLA SEGUROS

L’utente scioccato può dormire sonni tranquilli: in Angola non è obbligatorio assicurare i mezzi.

lunedì 24 agosto 2009

I RELITTI DI PANGUILA

Pare che in Angola non abbia senso domandare quanti chilometri ci separano da una destinazione.
Sono il traffico e le condizioni delle strade le vere incognite.
Così, appena chiedo a Dawen qual è la distanza tra Luanda e Cacuaco mi risponde: “Quattro ore”, e fa il segno con la mano.

Quattro ore per coprire 20 chilometri, sulla costa nord, imbottigliato tra le file di camion, le raffinerie del porto e i posti di blocco. Adesso ne mancano altri 30 per Panguila, ma sull’Estrada Nacional 100, un asse di asfalto tra le paludi, dicono che si scorra veloci.

Non c’è una sola indicazione per le spiagge di Santiago e São Miguel, e ho fretta di arrivare. Tra un’ora comincerà il tramonto e non potrò più scattare fotografie. Un cartello mi informa che ho sconfinato nella provincia di Bengo, e agitato imbocco la prima deviazione che trovo, a sinistra.
È un percorso in terra battuta che scende in direzione del mare, pieno di buche e dossi. Intorno nessun segnale di vita. Passa mezz’ora, e all’improvviso approdo in un’area di capannoni grigi in costruzione, con decine di operai cinesi. L’unico angolano a cui possa chiedere indicazioni è il conduttore della ruspa, che decide di smontare per accompagnarmi fino ai relitti.

Ho chiesto a tante persone, ma nessuno conosce l’origine di questo inquietante cimitero di navi.

Mi era già successo una volta, in un’isola della Norvegia, di rimanere scioccato per il fascino spettrale di un luogo, ma di avvertire allo stesso tempo la necessità di fuggire, quasi impaurito.

giovedì 20 agosto 2009

MISERIA E NOBILTÀ

La dama coi tappi delle birre, Cuca contro Nocal.
E chi perde offre da bere.

martedì 18 agosto 2009

LA CINA CI AVVICINA

Nel tipico cantiere cinese, c’è il burrone da una parte e il filo spinato dall’altra. Provate voi a non strusciarvi. A Luanda “città di ringhiera”, coi camminatoi al posto dei marciapiedi, la vicinanza tra i popoli è un obiettivo raggiunto.

lunedì 17 agosto 2009

L'ISOLA DI MUSSULO

Dopo quaranta giorni d’Africa finalmente ho visto il mare. Il mare, appunto, non la baia zozza di Luanda, con le navi mercantili che stazionano a largo del porto fino a tre mesi in attesa di poter scaricare.
Per qualunque spostamento qui serve la macchina (non esistono trasporti pubblici, escluse alcune linee d’autobus urbane) e ieri ne ho avuta una a disposizione perché il contabile della nostra impresa è tornato in Italia per le ferie. Così ho pennellato dieci chilometri sulla costa sud, fino a un piccolo scalo dove partono le barche per l’isola di Mussulo. Non vi aspettate vaporetti, Mississipi, o roba simile: sono bagnarole spaventose spinte a motore (la mia si chiamava Sacrificio), e la ciurma è costituita da due persone, un timoniere e un addetto alla recluta dei passeggeri, in genere un vispo ragazzotto che ti abborda appena arrivi in spiaggia. Purtroppo mi è stato proibito di scattare fotografie durante la traversata, ma dentro lo zatterone ero stipato con una dozzina di venditori ambulanti, e il paesaggio intorno ricordava le ultime scene di Apocalypse Now.
Con pregevole scatto di reni però ho immortalato il nostro Paul Cayard.

Per evitare polemiche coi gestori dei villaggi turistici questi giovani “imprenditori dell’acqua”, economici, ma abusivi, ti scaricano a qualche metro dalla riva, non appena ritengono che il più basso tra i passeggeri possa toccare. Che scena: con l’acqua freddissima fino all’ultimo bottone della camicia, la borsa sollevata e i venditori intorno che imprecavano in dialetti incomprensibili. Si percepiva però che non erano pienamente soddisfatti del servizio.
La costa di Mussulo che rimane di fronte a Luanda è preda di residence e ville kitch, con varie comunità di bianchi che se la spassano. Ma già dopo duecento metri verso l’interno lo scenario si ribalta, e inizia un villaggio di casette grigie sparse sulla sabbia.

Temo il miraggio, perché dopo mezz’ora di cammino ho una sete insostenibile e non so dove comprare l’acqua. Fermo due ragazze, e mi spiegano che qui a Mussulo ogni casa colorata vende cibo e bibite, secondo una specie di codice cromatico. Ne raggiungo una, acquisto una bottiglia e mi siedo su un muretto, a riposare. Un bimbo mi vede, si avvicina, e con una canna traccia una mezza luna intorno alle mie gambe.

Continuo ad avanzare, disorientato, e a un certo punto ricomincio a sentire il rumore delle onde. Passo una duna e si aprono delle spiagge meravigliose.

Le foto con le barche vengono sempre bene, vero?
Il resto del tempo l’ho passato qui, arenato come un capodoglio.
Solo qualche imprevisto nella traversata di ritorno, dove gli sbronzi “compagni di viaggio” giocavano a toccarmi i capelli, dato che in Angola non essere rasati è piuttosto insolito.

venerdì 14 agosto 2009

L’ALBUM DEI RICORDI

Tutti gli sposi si fanno fotografare nei luoghi più suggestivi dei paraggi. Poi sviluppano, incorniciano la migliore e l’appendono in salotto. I miei genitori appaiono abbracciati in una ventosissima spiaggia del litorale ragusano, e che ciuffo aveva papà! E i vostri?
Qui a Luanda, città semi-distrutta dalle guerre e in piena ricostruzione, gli sfondi più ambiti sono quelli dei centri commerciali o delle iper-trafficate rotonde urbane, che nel loro squallore simboleggiano comunque il “new deal” angolano.
In Largo Primeiro de Maio poi, lo scatto assume un doppio significato.

C’è il classico amarcord, sì, ma anche una sorta di “seconda benedizione”, conferita dal compagno Agostinho Neto, leader storico dell’MPLA e primo presidente dell’Angola, che col suo bel pugno chiuso sigilla il matrimonio. Niente male, vero?
Ah, mi scuso per la cupa immagine, non so fare i controluce, specie se infrattato dietro una palma. Sai mai come la prendono…

mercoledì 12 agosto 2009

MOBY DICK ALL’ANGOLANA

Voi lo sapevate che in Cina si mangiano le balene?
A me l’ha detto Bruno Jorge, un collega portoghese, e poi mi ha raccontato un fatto.
No, perché a Luanda vivono un sacco di cinesi, decine di migliaia, tutti deportati qui ai lavori forzati. Sono ex carcerati o ribelli politici che il governo di Pechino spedisce in Angola a sgobbare per i propri interessi, già che nel 2002 ha firmato un accordo da 9 miliardi di dollari col presidente Dos Santos per la ricostruzione del paese. Per 16 ore al giorno faticano senza sosta, e le restanti 8 le passano nei cantieri perché non hanno alloggi. Dormono in 20 in un container e mangiano delle sbobbe brodose.
Allora qualche mese fa sulle rive della Ilha do Cabo, una penisola di 5 Km che contorna la baia di Luanda, si è arenata una balena moribonda. La voce si è sparsa nei cantieri, e nel giro di poche ore centinaia di cinesi hanno assaltato le spiagge della Ilha per squartare grossi tranci del mammifero, desiderosi di un fuori programma dalla solita zuppa scotta.
Si dà il caso però che la voce si era sparsa pure tra i reparti d’attacco della tremenda polizia locale, che è arrivata sulla battigia e ha bastonato tutti. Così, accanto alla balena, son rimasti tanti altri moribondi.
Per i cinesi una giornata diversa, lontani dalla solita routine.

Sullo sfondo la Ilha vista dalla Fortaleza de São Miguel

lunedì 10 agosto 2009

PLAYBLOG

Dato lo scoraggiante calo di visite (complice l’esodo estivo?) sono costretto alla virata erotica del blog, una mossa disperata nel tentativo di recuperare qualche lettore.
Sì, perché ieri, in Largo Primeiro de Maio, mi hanno abbordato due tizie, Mariza e Vitória, non proprio interessate a me, ma alla macchina fotografica. Si avvicinano a braccetto, come il Gatto e la Volpe, e mi chiedono degli scatti per un book da consegnare a un’agenzia, una vera consuetudine del giovane angolano. Poi si aggiunge l’amica Samantha, uno schianto ragazzi!
Eccole, ve le presento…

Lei è Mariza…(Umh, accattivante!)

E guardate Vitória…(Sì, viso angelico però…)

Infine Samantha…(Wow! – Wow! – Wow!)

Eccole insieme...(Panterone!)

L’Africa, le belle donne e le pose da catalogo, per un quarto d’ora mi sento Fabrizio Corona.
Ah, poi c’è Mario, che non c’entra niente e mi sciupa il taglio del post, però è simpatico.

sabato 8 agosto 2009

CARO DIARIO ANGOLANO...

…qualche giorno fa ho pagato la mia prima gasosa, e te lo voglio raccontare.
O meglio, non la prima, ma la prima VERA gasosa.
Tutti qui la chiedono: gli autisti, i vigilanti, i bambini. Sono 200 o 300 Kwanzas, un contributo per mangiare o prendere l’autobus.
Ok, di queste mini-gasosas ne ho già date un sacco, anzi, quando esco metto i tagli piccoli in una tasca e quelli grandi (1000, 2000 Kw) nell’altra, così se mi fermano so dove pescare. La domenica poi, che sto tutto il giorno in giro, indosso i pantaloni multi-tasca e in ciascuna sacca infilo una gasosa, e via.
Ce ne è per almeno 4 o 5 questuanti, e se le finisco faccio la ricarica.
Però ti dicevo, caro Diario Angolano, che qualche giorno fa ho pagato la prima VERA gasosa, giusto?

Sì, stavo salendo alla Fortaleza de São Miguel, una rocca costruita dai portoghesi cinque o seicento anni fa, boh, non bella, però da lassù c’è una vista che incanta.
Ai piedi della salita mi viene incontro un ragazzo coi lineamenti da cinese. “Vai su? È pericoloso? Vengo con te!”
Andiamo. Comincia a parlarmi in portoghese, poi salta allo spagnolo perché dice che è messicano e infine collassa sull’inglese, il suo migliore del mio.
Si presenta: è Manuel, un ingegnere meccanico di una compagnia petrolifera francese. Slumberg, Stutter, una cosa così.
Anni fa stava con Patrizia, di Pescara, conosciuta a Barcellona mentre lui frequentava un corso professionale di fotografia. E infatti ha una macchina splendida, beato!
Poi la storia è finita, e Manuel ha iniziato a girare il mondo con questi francesi del petrolio.
Per dimenticarla, credo, caro Diario Angolano.

Camminiamo tanto, il messicano è in vena e racconta, e a un tratto ci ritroviamo davanti a uno stadio, sulla scia dei cori. Chiedo ai poliziotti se possiamo entrare, mi perquisiscono e acconsentono. Dentro mi divido da Manuel, io salgo in tribuna a seguire la partita e lui rimane a bordo campo a scattar foto, dopotutto è la sua passione, no?
Bene, però dopo qualche minuto sparisce, e quando rispunta è agitatissimo e mi fa segno di scendere. Ma che succede?
“They capt my camera, Sandro!”
Ma chi?
La polizia.
Insomma, un agente gli ha sequestrato la macchina perché negli stadi angolani non si possono far fotografie, e per la restituzione chiede 480.000 Kw (450 euro circa) da pagargli “personalmente”. Un’estorsione, un classico dei poliziotti locali, che per una patente sgualcita o una macchia sul parabrezza possono chiederti 5000 Kw di gasosa, se sei bianco.
Parlo col suo capitano per capire se quella cifra è trattabile, e alla fine ci accordiamo: Manuel pagherà 100 dollari e io 2000 Kw.
Ci fanno accostare al muro, aspettano che non li veda nessuno, e ci ordinano di passargli i soldi con le mani nascoste dietro la schiena.
Appena a Manuel ridanno la macchina ce ne andiamo nella sua residenza a bere una Cristal, per non pensarci più.

Oggi Manuel mi ha scritto, inviandomi due foto. La prima l’ha scattata allo stadio, nella seconda brindiamo con le birre alla nostra gasosa.


giovedì 6 agosto 2009

LUANDA, IL CIMITERO DELLE SEDIE

Tutti gli uffici, i condomini e i negozi della città sono custoditi da un vigilante.
Vestono improbabili camicie militari, si annoiano, e passano il tempo ascoltando la radiolina, seduti ai bordi dei marciapiedi con le gambe distese o appoggiate a uno sgabello.
Spesso lasciano la postazione per fare un giro di ronda, e riappaiono dopo ore.
Altre volte però non tornano più.



martedì 4 agosto 2009

SE STIAMO INSIEME CI SARÀ UN PERCHÉ

Minguito, Pedrito e Paulão.
Eka, Cuca e Nocal.
Siano birre, siano terne fotografiche, questi angolani giuntano tutto per assonanza...

lunedì 3 agosto 2009

LA MIA AGORÀ

Sarà per il nome, ma in questo Largo da amizade (amicizia) entre Cuba e Angola ogni domenica faccio nuovi incontri. Dopo Cezinho l’abusivo, Daniel e i camaradas ieri pomeriggio ho conosciuto una meravigliosa terna.
Ero tornato per fotografare alcuni dei massi di pedra rosa (laterite) che l’esercito di Fidel Castro portò a Luanda dalle regioni in cui, durante la guerra civile (1975-2002), l’MPLA e i cubani combatterono insieme l’FNLA (Frente Nacional de Libetação de Angola), la fazione indipendentista finanziata dagli Stati Uniti e dal Sudafrica.
Non appena estraggo la macchina digitale dalla borsa mi accerchiano Minguito (nelle foto in maglietta blu), Pedrito (in maglietta nera) e Paulão (in maglietta rossa): “Facci delle foto!”
Beh, ottimi soggetti per vivacizzare la pietra, no?
Punto l’obiettivo e i ragazzi si scatenano in eccentriche pose. L'Africa, i colori e le espresssioni da catalogo: per un quarto d’ora mi sento Oliviero Toscani.

Regione dello Zaire

Regione di Cabinda

Regione di Cuanza Sud

Regione di Luanda

Alla fine chiedo se hanno un indirizzo e-mail per ricevere le foto. Silenzio. Chiedo allora perché le hanno volute, se non potranno rivederle. Balbettano. Rimaniamo che gliele consegnerò stampate domenica prossima.