lunedì 24 agosto 2009

I RELITTI DI PANGUILA

Pare che in Angola non abbia senso domandare quanti chilometri ci separano da una destinazione.
Sono il traffico e le condizioni delle strade le vere incognite.
Così, appena chiedo a Dawen qual è la distanza tra Luanda e Cacuaco mi risponde: “Quattro ore”, e fa il segno con la mano.

Quattro ore per coprire 20 chilometri, sulla costa nord, imbottigliato tra le file di camion, le raffinerie del porto e i posti di blocco. Adesso ne mancano altri 30 per Panguila, ma sull’Estrada Nacional 100, un asse di asfalto tra le paludi, dicono che si scorra veloci.

Non c’è una sola indicazione per le spiagge di Santiago e São Miguel, e ho fretta di arrivare. Tra un’ora comincerà il tramonto e non potrò più scattare fotografie. Un cartello mi informa che ho sconfinato nella provincia di Bengo, e agitato imbocco la prima deviazione che trovo, a sinistra.
È un percorso in terra battuta che scende in direzione del mare, pieno di buche e dossi. Intorno nessun segnale di vita. Passa mezz’ora, e all’improvviso approdo in un’area di capannoni grigi in costruzione, con decine di operai cinesi. L’unico angolano a cui possa chiedere indicazioni è il conduttore della ruspa, che decide di smontare per accompagnarmi fino ai relitti.

Ho chiesto a tante persone, ma nessuno conosce l’origine di questo inquietante cimitero di navi.

Mi era già successo una volta, in un’isola della Norvegia, di rimanere scioccato per il fascino spettrale di un luogo, ma di avvertire allo stesso tempo la necessità di fuggire, quasi impaurito.

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